TEHERAN — Anche senza le sanzioni, «ci vorranno almeno dieci anni per colmare i vuoti culturali, le resistenze del passato. Per riaprire le relazioni commerciali basta una firma. Ma la cultura deve sedimentare». Studiosa di semiotica, letteratura comparata e narrativa inglese, la giovane Farzaneh Doosti guarda con cautela alla svolta diplomatica tra l’Iran e la comunità internazionale.
Sabato 17 gennaio l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha certificato che il governo di Hassan Rohani ha rispettato gli impegni sul programma nucleare assunti lo scorso luglio con il gruppo dei 5+1 (Usa, Cina, Francia, Germania, Russia e Regno Unito). L’Iran è un interlocutore affidabile, ha dichiarato il direttore generale dell’Agenzia, Yukya Amano. Subito dopo, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno cominciato a eliminare le sanzioni che gravano da anni sull’economia iraniana. Per la Repubblica islamica, ha sostenuto il presidente Rohani, si «apre un nuovo capitolo». A beneficiarne, sperano in molti, saranno anche gli scambi culturali.
«Oggi le relazioni culturali tra l’Iran e gli altri paesi non sono buone come vorremmo. Ma siamo sicuri che quando miglioreranno i rapporti diplomatici ne beneficeranno anche quelli culturali», racconta a pagina99 Davoud Moussaei, l’editore di Farangh Moaser, una casa editrice specializzata nella pubblicistica accademica e nella narrativa e saggistica francese. «Per ora», prosegue, gli editori stranieri mostrano scarso interesse verso l’Iran. È un vero peccato».
Farzaneh Doosti ha pensato di rimediare, insieme ad alcuni amici e colleghi. È la principale animatrice de “La nuova generazione degli scrittori persiani” (The New Generation of Persian Writers), «un gruppo di narratori senza peli sulla lingua, che amano la letteratura e si interrogano sulla propria identità», spiega a pagina99. Creata all’inizio dello scorso anno, “battezzata” alla Fiera internazionale del libro di Teheran (6-16 maggio 2015), l’associazione ha un obiettivo ambizioso: «far conoscere la letteratura persiana all’estero. Dopo decenni di isolamento e chiusure forzate, di stereotipi e percezioni errate, non è facile. Ma siamo giovani e convinti di ciò che facciamo».
Tra i sei autori che fanno parte de “La nuova generazione” c’è Mohammed Tolouei. Nato nel 1979 a Rasht, nell’Iran settentrionale, sulla costa del Mar Caspio, sguardo sveglio e pose da scrittore già navigato, alle spalle studi di cinema e drammaturgia, Tolouei è autore di sceneggiature, racconti e romanzi. L’ultimo è Anatomia della depressione, e «verrà pubblicata prima in Italia, e poi in Iran», racconta a pagina99. L’autore sa che nel nostro panorama editoriale il libro verrà accolto come una «specie esotica». Nonostante tutti gli sforzi, «la letteratura iraniana è pressoché sconosciuta agli italiani. Su questo, dobbiamo lavorare sodo. Ma la nostra generazione può riuscire nell’impresa».
Per farlo, Tolouei e i suoi colleghi ragionano, e scrivono, seguendo un’ottica globale. «Gli scrittori che ci hanno preceduto producevano letteratura “europea”. Influenzati dalla contrapposizione tra est e ovest, tra destra e sinistra, subivano una fascinazione quasi esclusiva per l’estetica di matrice francese», spiega. «Oggi invece guardiamo con interesse alla produzione culturale anglosassone. Il nostro sguardo è pienamente globale». Non si tratta di assecondare le aspettative del pubblico internazionale, né di abdicare alle proprie specificità, prosegue Tolouei. «Siamo influenzati da un’estetica internazionale che vale in Germania quanto in Italia, negli Stati Uniti come in Iran. Attingiamo a fonti comuni – riviste come il New Yorker e scrittori letti in tutto il mondo – ma ne siamo consapevoli».
Farzaneh Doosti sembra avere le idee ancora più chiare: «Dall’inizio degli anni Novanta la nostra società è stata investita da un processo di commercializzazione, siamo diventati oggetto e soggetto di consumo. Tutto questo ha avuto un riflesso in ambito letterario. Ci sono scrittori che vendono prodotti precotti, pensati e confezionati per il mercato estero. Noi conosciamo i rischi, ed evitiamo le scorciatoie». Un esempio? «Se scrivessi dell’amore che provo per mia madre, gli europei non se ne accorgerebbero. Se scrivessi che mia madre è morta nella prigione di Evin (la famigerata prigione “politica” di Teheran, ndr), riceverei recensioni entusiaste».
È la trappola degli stereotipi. L’Iran come il paese degli ayatollah, dei pasdaran, del fondamentalismo, della repressione governativa e delle donne sottomesse o ribelli. «Ne abbiamo davvero abbastanza di tutto questo», aggiunge Amirhossein Yazdanbod, un altro autore de “La nuova generazione”. Nato nel 1977 a Teheran, con Ritratto di un uomo incompleto, la sua prima raccolta di racconti, Yazdanbod si è aggiudicato importanti premi letterari, tra cui il Golshiri, una sorta di premio Strega. Nel suo ultimo romanzo, Balbuzie, ambientato tra Iran, Azerbaijan e Afghanistan, si interroga «sulle responsabilità e sulle interferenze dei paesi stranieri, sulle barriere create dall’ignoranza e dall’incomprensione reciproca». Un problema che vale nel rapporto tra l’Iran e l’Occidente, ma che riguarda anche l’ambito domestico. «Uno dei problemi del nostro paese è l’incomprensione tra generazioni. Tra padri e figli non ci capiamo. Oggi ancora meno di prima. Da qui nasce una sorta di circolarità. Anche in politica vige un continuo alternarsi tra ‘riformisti’ e ‘conservatori’, senza che ciò produca sviluppi politici significativi», precisa Yazdanbod.
L’autore di Balbuzie non si fa troppe illusioni. Sa che i tempi per il ritorno alla normalità saranno lunghi. E che le diffidenze reciproche sono dure a morire. Per il suo collega Tolouei il rapporto tra Iran e Occidente va letto in un’ottica più ampia: «È una questione sociale e culturale, prima ancora che politica. Il problema non è il nucleare, ma il rispetto reciproco. Gli europei non capiscono quanto sia importante per noi». Per molti iraniani, la fine delle sanzioni è il primo segno di rispetto verso l’Iran, paese osteggiato e isolato dalla comunità internazionale.
Più scettico, in particolare sul “nuovo corso” di Hassan Rohani, il presidente che è riuscito a tirar fuori l’Iran dal vicolo cieco in cui l’aveva cacciato Ahmadinejad, è un altro giovane scrittore, Shahriar Vaghfipour. «Nei paesi come il nostro, spesso le aperture all’esterno si sono tradotte in forti chiusure interne. È troppo presto per giudicare cosa porterà l’accordo sul nucleare. Quel che è certo, ora, è che al governo c’è gente che non concederà niente, a meno che non sia costretta». Capelli lunghi da musicista rock, una casa zeppa di libri e mozziconi di sigarette avidamente consumate, un lavello su cui si ammucchiano piatti e bicchieri, Vaghfipour incarna con orgoglio il ruolo di “scrittore-contro”: «Agli occhi del pubblico e del governo sono immorale, troppo occidentalizzato. Scrivo di sesso, droga, contro-cultura, temi orribili per il regime. Ma me ne frego».
Nel 2005 Vaghfipour, che è anche autore di saggi su Lacan, ha pubblicato Il libro della dipendenza. Un romanzo che «ha fatto scandalo». «Basato su un’estetica surrealista, raccontavo un piano governativo per far fuori i tossicodipendenti, armando criminali e tossici. Prima è stato pubblicato, poi bandito. Ora c’è chi vorrebbe ripubblicarlo, ma al ministero dicono che non si può». I criteri dei censori sono imprevedibili, arbitrari. «Alcuni miei libri sono fermi al ministero da anni. Paradossalmente, dopo appena un anno è stata autorizzato Dopo l’inferno, una raccolta di poesie sull’amore in uno Stato totalitario». Gli stili della gelosia, l’ultimo libro di racconti, ha subito un bel repulisti. Il titolo modificato, la copertina parzialmente coperta da un adesivo che copre un’immagine giudicata troppo audace, interi racconti finiti nel cestino. «Hanno tagliato i contenuti più “politici”, come la storia su un colpo di stato dell’opposizione, e i brani sulle donne che fanno sesso fuori dal matrimonio. A Teheran si fa, ma non si può raccontare». Difficile prevedere la sorte del romanzo terminato pochi mesi fa, Stagione infernale sulla Highway 61. Già a partire dal tit0lo — un omaggio a Bob Dylan — Vaghfipour rivendica la contaminazione come cifra stilistica. «La struttura è frammentaria, ma nasconde una totalità di senso, come in John Fante», spiega a pagina99.
Quanto alla trama, «potrei dire che è un romanzo criminale kafkiano. Una rapina in banca che finisce male, uno scrittore-padre che scompare, una guerra spietata tra uomini e cani, dove i cani, armati dagli americani, sono simili ai fondamentalisti dello Stato islamico». In attesa dell’autorizzazione, il libro giace su qualche scrivania dell’Ershad, il ministero della Cultura e dell’orientamento islamico. Con l’accordo sul nucleare, l’Iran si è aperto al mondo esterno. Ma all’interno censure e ostacoli sono ancora in piedi. «Anche se passa il vaglio, lo sforbiciano di sicuro», nota Vaghfipour prima di accendersi una sigaretta.